mercoledì 8 settembre 2010

Khaled Hosseini, “Il cacciatore di aquiloni”.




E’ certamente uno dei libri più conosciuti, più venduti e più letti degli ultimi tempi, e per questo non ha bisogno di nessuna presentazione. Mi limiterò pertanto a fare solo qualche breve considerazione, ora che anch’io, finalmente, ho avuto il piacere di leggerlo.
Anzitutto, non posso non rilevare che il clamore che ha suscitato nel mondo dei lettori sia da ritenere più che fondato. Pensavo, infatti, specie dopo aver letto decine di libri di autori mediorientali, come pachistani, siriani, turchi, eccetera, o quantomeno di autori che trattano storie ambientate in medio oriente, di ritrovarmi di fronte alla storia schietta e ormai, ahimè, consueta, di lotte intestine, incomprensioni politiche, maltrattamenti, fughe, prevaricazioni, rigidi principi o norme di comportamento sulle cui origini si indaga. Invece, ho trovato una vera opera letteraria che va ben oltre al retroscena politico e sociale dell’Afganistan e della sua cultura, pur senza prescinderne. E’, infatti, un’opera dai contenuti forti, ma dallo stile delicato ed accattivante; in cui sia il retroscena reale che la fictio narrativa risultano tanto drammatici quanto i volti dei personaggi, i dialoghi, le scene e gli avvenimenti sono descritti in maniera limpida ed espressiva da sembrare tangibili.
Per queste doti, che certamente l’hanno portato ad essere tanto apprezzato e amato dai lettori, il cacciatore di aquiloni può essere definito, a mio giudizio, l’antesignano di tutti i romanzi ambientati in medio oriente che oggi gli editori fanno a gara a mettere sul mercato (date una scorsa ai banconi delle librerie per rendervene conto).
Un merito in più, quindi, che merita di essere menzionato.
Sul punto, peraltro, non posso fare a meno anche di osservare, non senza ironia, che proprio il commento, l’unico, che si trova impresso sulla copertina del libro (“un libro indimenticabile, emozionante come pochi”), reca la firma di un’autrice sudamericana per eccellenza, Isabel Allende, quasi a simboleggiare il passaggio di testimone da una moda ad un’altra, che ci ha portati a spostare l’obiettivo da una regione remota della terra all’altra.
Infine, mi piace ricordare Il cacciatore di aquiloni, non soltanto perché suscita l’interesse ad approfondire le ragioni storiche che hanno permesso la drammatica ascesa di potere dei talebani in Afganistan, le stesse che, da ultimo, hanno portato a violente guerre che hanno interessato il mondo intero, ma anche perché, in termini più generali, invita a riflettere sulle conseguenze (spesso negative) del potere egemonico degli stati forti su quelli deboli, specie nel momento in cui questi ultimi vedono minacciata le propria stessa cultura e l’identità del loro popolo.

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