martedì 6 novembre 2012

Natsuo Kirino, “Grotesque”.


Prendi in mano un libro e leggi il titolo: “Grotesque”. Grottesco. In una lingua che non è la tua. In copertina, nella copertina dell’edizione economica che hai in mano, almeno, c’è una donna magra, di spalle, nuda, in penombra. Prima di farti l’idea dalla quarta di copertina che si tratta - forse - di un romanzo giudiziario, in cui a farla da padrona, però, è l’atto di accusa dell’autrice nei confronti di una società (autrice che hai già avuto modo di conoscere e di apprezzare, società che è tanto distante dalla tua), leggi il titolo del primo capitolo: “Rappresentazioni di bambini immaginari”. Il prezzo è invitante (€ 10,50), specie per le 847 pagine fittissime in cui la trama si dispiega. Resti per forza colpito. Non puoi che portartelo a casa e aspettare il coraggio di iniziare a leggerlo.
Quando l’avrai trovato, ti troverai in un vortice inesauribile di parole che non ti stancheranno mai e che, anzi, ti terranno sveglio per tutta la notte pur di continuare ad andare avanti. Nel frattempo, ti accorgerai che, in realtà, non si tratta di un romanzo giudiziario, anche se la narrazione ha tutto il sapore della confessione resa dal personaggio a cui è affidata volta per volta. Solo che questa volta a giudicare non c’è nessun tribunale, ma ci sei tu, che leggi.
L’editore italiano lo racconta così: due prostitute di Tokio, Yuriko e Kazue - la prima, figlia di madre giapponese e di padre svizzero, dotata di una bellezza quasi sovrannaturale, le seconda, invece, forte di una caparbia determinazione - sono assassinate in modo feroce, e la loro morte lascia una serie di domande senza risposta. Chi erano queste due brave ragazze che si sono trasformate in donne “grottesche”, mostri di perversione ed eccessi, di irriducibile quanto tragica volontà di indipendenza? Quali eventi hanno condotto la loro vita verso un esito così tremendo, dove si annida l'enigma di una perdizione che nulla sembra poter arrestare? Al loro tragico destino si unisce quello di un contadino cinese immigrato in Giappone, cresciuto con la famiglia in condizioni di estrema povertà, che viene accusato degli omicidi. Ammetterà di aver commesso il primo, di aver ucciso la bellissima Yuriko, ma non è stato l'artefice del secondo, seppure le due violenze siano così simili, e le coincidenze così schiaccianti.
Seppur, a dispetto di ciò che sembra essere promesso fra le righe, la vicenda giudiziaria risulti quasi del tutto estranea alla narrazione, ti troverai ad assaporare, per assurdo, il piacere di leggere una storia drammatica che unisce tutti i personaggi. La sconfitta di tutti loro.
Ciò, probabilmente, perché lo stile adoperato non conosce filtri, né veli dietro cui nascondere il più recondito pudore, né le più banali ipocrisie su cui si fonda la più sana delle società civili, sebbene il tuo pensiero ricorrente sarà di detestare sempre di più la voce narrante, protagonista della storia. O forse, perché spererai fino alla fine, alimentato come sei stato finora dal romanzetto commerciale, di trovarti improvvisamente di fronte ad un colpo di scena che possa dare la svolta a tutto ciò che hai avrai letto o che possa fungere da chiave di lettura diversa al resto del romanzo. Anche se questo non arriverà mai.
Alla fine, ti convincerai che sei rimasto vittima di uno sfogo dell’autrice, di un suo personale disagio psicologico, dal quale forse potrà riuscire a liberarsi sapendo che qualcuno nel mondo, in questo preciso momento, sta leggendo le sue parole e la sta comprendendo.
Poi, quando avrai chiuso anche l’ultima pagina e anche l’ultima riga sarà passata velocemente sotto i tuoi occhi, fluida come un compito ben fatto, che non ha mai conosciuto nemmeno l’ostacolo di una sintassi complicata o troppo gravida di termini a te ostili, il dubbio comincerà ad assalirti che, forse, anche tu vorresti unirti a lei, in uno sfogo simile. Ma ciò sarà, non per risolvere il tuo disagio interiore, quanto per denunciare le storture del mondo che ti sta continuando a girare attorno. Comincerai a capire solo allora.
Per quanto mi riguarda, dopo aver letto L’isola dei naufraghi, ho ottenuto con “Grotesque la conferma che l’autrice ama immergersi in storie fuori dai canoni, volendo trarre da queste, però, una morale valida comunque, per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. Allo stesso ho riconosciuto lo stile singolare che avevo descritto a suo tempo come un pennello che ritorna a più passate sulla stessa traccia e l’uso della trama alla stregua di un tavolo di laboratorio, per eseguire esperimenti a vivo sulla psiche umana. Un'ottima lettura.

Luis Sepulveda, “Ultime notizie dal Sud”.


Ci sono luoghi dove non siamo stati mai, ma che ci sembra di conoscere e che speriamo di potere ritrovare prima o poi. Perché più che luoghi misteriosi, accattivanti, ricchi di colori e suoni che ci ammaliano sono luoghi che vivono dentro di noi, come se fossero un tutt’uno con la nostra stessa natura.
Che cos’hanno di straordinario bene non si sa. Forse solo il fatto di essere lo spazio ideale in cui il genere umano si possa adattare, ma che è divenuto così ristretto e difficile da trovare, da essere divenuto anche nostalgico e ambito. Quel che è certo è che, quando ci distraiamo un attimo dal tran tran della vita quotidiana e ci soffermiamo a immaginare (o a rivivere, nel nostro subconscio) quei luoghi, ci sentiamo sopraffare da un senso di impotenza di fronte al dilagare dell’economia che invade tutto il mondo, fino ad occuparne gli angoli più reconditi. In quei casi, può anche sembrare un paradosso, ma riusciamo a provare invidia per alcune popolazioni o per singoli uomini che vivono, ancor oggi, in terre dimenticate, dove tutto risulta lontano e inafferrabile, dove l’unica legge esistente è quella del sapersi arrangiare e c’è ancora spazio per la fantasia.
In quelle terre può persino apparirci normale incontrare un uomo, dopo decine di chilometri di solitudine e silenzio, cercare fra i tronchi divelti dal vento il suo violino; così come ci può sembrare naturale sorseggiare un mate in compagnia di una vecchia che fa crescere ricchi mazzi di fiori colorati al centro di una valle in cui l’unica forma di vita sembra essere lei stessa; e potremmo anche trovarci a chiacchierare con un ubriaco che dica di essere l’ultimo discendente di Davy Crockett, per scoprire poi, magari, che lo sia davvero.
Con le Ultime notizie dal Sud, Luis Sepulveda ci fa rivivere un emozione che, prima o poi, nel subconscio torna a riaffiorarci: l’emozione di sentirci non al di sopra delle parti su questa terra, ma parte, insieme ad ogni altro elemento, di essa.
Il suo Sud è il mondo ancora esistente, ma che va via via scomparendo, della Patagonia. Una terra molto ambita da chi l’ha pensata per sfruttamenti minerari, ma che per una sorte miracolosa è riuscita a giungere ai giorni nostri ancora, in parte, intatta.
Non si tratta di un romanzo, ma della summa del diario di viaggio del suo autore, corredato con le foto del suo accompagnatore e amico Daniel Mordzinski. Ovvero, se si preferisce, è un insieme di immagini corredate da lunghe didascalie, che contengono aneddoti, interrogativi rimasti aperti e tante prove di vita.
Comunque lo si voglia vedere, dall’una o dall’altra parte, è pur sempre un’opera del cuore, che va dritta al cuore.