Laurence Cossé, “La libreria del buon romanzo”. e/o edizioni.
Vale la pena leggerlo.
Vorrei limitare a queste brevi e semplici parole il mio commento su “La libreria del buon romanzo” di Laurence Cossé, ma so già che finirei presto per pentirmene.
Eh si, perché l’opera di cui parlo oggi non si presta a ricevere un mero voto di preferenza positivo o negativo: è, infatti, al tempo stesso un romanzo godibile, scorrevole, originale, per certi versi intrigante e che riesce a non stancare mai, pur essendo pressoché privo d’azione, ma anche un gioco, una scommessa dell’autrice con sé stessa, quella di riuscire in un’opera che venga definita, udite udite, con o-b-i-e-t-t-i-v-i-t-à, un “buon romanzo”.
Per non bastare, poi, è anche spunto di riflessione su temi leggeri, ma che coinvolgono e stanno tanto a cuore ai lettori appassionati (è possibile frenare l’avanzata di libri spazzatura?), oltreché su grandi temi, per giunta economici, della nostra società (può la purezza di spirito sopravanzare l’interesse economico delle grandi società?).
Chi vuole, potrà leggerlo come un poliziesco, trovandolo ugualmente attraente, nei temperati chiaroscuri e nei colori tenui tipici degli autori francesi, ma il suo vero intento, a parer mio, è quello di indugiare sul relativismo del gusto e mostrare che, come spesso avviene, dietro ad una scelta, apparentemente legata ad una personalissima inclinazione, si celano interessi economici o di potere o ancora (ma questo lo scoprirà il lettore) di diversa e più oscura natura.
L’editore lo racconta in sintesi così (riporto testualmente): «due appassionati lettori aprono la libreria dei loro sogni a Parigi. L’inatteso successo di questo “tempio” del buon romanzo scatena invidie e misteriose aggressioni». Si comprende, quindi, subito che tutto ruota intorno all’apertura di una libreria sui generis e numerose pagine, infatti, descrivono l’attività che s’incentra sulla buona riuscita di quel progetto.
Per l’attenzione ai dettagli e, a tratti, per la dovizia di particolari, chi legge non può non immaginare che l’autore abbia vissuto in prima persona l’esperienza che racconta, anche se poi deve finire inevitabilmente per credere che, per quanto verosimili, gli eventi narrati appaiano davvero difficili da realizzarsi. Purtroppo… o per fortuna!Nella mia biblioteca, il libro figura accanto all’Eleganza del riccio, di Muriel Barbery, e non solo -come intuirete solo dopo averlo letto- perché ne condivide casa editrice e impaginatura.
Vale la pena leggerlo.
Vorrei limitare a queste brevi e semplici parole il mio commento su “La libreria del buon romanzo” di Laurence Cossé, ma so già che finirei presto per pentirmene.
Eh si, perché l’opera di cui parlo oggi non si presta a ricevere un mero voto di preferenza positivo o negativo: è, infatti, al tempo stesso un romanzo godibile, scorrevole, originale, per certi versi intrigante e che riesce a non stancare mai, pur essendo pressoché privo d’azione, ma anche un gioco, una scommessa dell’autrice con sé stessa, quella di riuscire in un’opera che venga definita, udite udite, con o-b-i-e-t-t-i-v-i-t-à, un “buon romanzo”.
Per non bastare, poi, è anche spunto di riflessione su temi leggeri, ma che coinvolgono e stanno tanto a cuore ai lettori appassionati (è possibile frenare l’avanzata di libri spazzatura?), oltreché su grandi temi, per giunta economici, della nostra società (può la purezza di spirito sopravanzare l’interesse economico delle grandi società?).
Chi vuole, potrà leggerlo come un poliziesco, trovandolo ugualmente attraente, nei temperati chiaroscuri e nei colori tenui tipici degli autori francesi, ma il suo vero intento, a parer mio, è quello di indugiare sul relativismo del gusto e mostrare che, come spesso avviene, dietro ad una scelta, apparentemente legata ad una personalissima inclinazione, si celano interessi economici o di potere o ancora (ma questo lo scoprirà il lettore) di diversa e più oscura natura.
L’editore lo racconta in sintesi così (riporto testualmente): «due appassionati lettori aprono la libreria dei loro sogni a Parigi. L’inatteso successo di questo “tempio” del buon romanzo scatena invidie e misteriose aggressioni». Si comprende, quindi, subito che tutto ruota intorno all’apertura di una libreria sui generis e numerose pagine, infatti, descrivono l’attività che s’incentra sulla buona riuscita di quel progetto.
Per l’attenzione ai dettagli e, a tratti, per la dovizia di particolari, chi legge non può non immaginare che l’autore abbia vissuto in prima persona l’esperienza che racconta, anche se poi deve finire inevitabilmente per credere che, per quanto verosimili, gli eventi narrati appaiano davvero difficili da realizzarsi. Purtroppo… o per fortuna!Nella mia biblioteca, il libro figura accanto all’Eleganza del riccio, di Muriel Barbery, e non solo -come intuirete solo dopo averlo letto- perché ne condivide casa editrice e impaginatura.
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