mercoledì 16 novembre 2011

Stefano Benni, “La traccia dell’Angelo”.

La traccia dell’angelo” è la storia del viaggio onirico, fantastico e drammatico al tempo stesso, in cui sprofonda Morfeo, il protagonista che, già all’età di otto anni, si trova per la prima volta a tu per tu con la morte. Nella notte di natale del 1955, infatti, al bimbo che aveva avuto appena il tempo di innamorarsi della neve che cade, dell’albero addobbato a festa, dell’attesa di aprire i pacchi regalo disposti ai suoi piedi, cade in testa una persiana, facendolo quasi schiattare. Anche se si riprenderà in poco tempo, questo evento sarà considerato, nel corso di tutta la sua vita, alla base dei suoi mali veri o immaginati. A questo scopo, nel racconto, i medici ignoranti e senza scrupoli divengono metafora di un mondo egoista e profittatore, in cui perfino le debolezze umane, le paure, sia pur passeggere o trascurabili, formano oggetto di speculazione economica.
E’ una sintesi rappresentativa del mondo d’oggi. Un quadretto a grosse pennellate in cui, quale unica e neanche misera, ma certamente realistica, consolazione, però, sembra esservi ancora spazio nella battaglia del bene contro il male. E’ un messaggio di speranza.
Morfeo impara a sue spese, che nella lotta fra il bene e il male, non può farsi affidamento su un essere superiore, fuori dalle parti, estraneo alla scena o, comunque, incapace materialmente di potervi intervenire, ma che si può dare quantomeno ascolto alla voce di un angelo buono. L’angelo buono non è deus ex machina e come tale non può modificare il corso delle cose, né può farsi sempre e comunque affidamento sulla sua presenza, tuttavia può segnare una direzione o, col titolo del libro, può indicare una “traccia”.
La traccia da seguire che l’angelo buono indica a Morfeo è quella di lasciare una sola goccia di sé in questo mondo, “una goccia in più che fa andare avanti il mondo”, che evidenzi le brutture del male, specie al raffronto con le buone conseguenze del bene, poiché - sembra dire - anche se una sola goccia risulta essere incapace di opporsi da sola al male, arriverà il giorno che tutte le gocce messe insieme potranno avere un peso tale da poterlo contrastare efficacemente. O, come dire, ancora, che il bene deve essere costruito e voluto da tutta un’intera collettività, se poi la stessa vuole goderne degli effetti. E, all’interno della collettività ci si deve spingere l’un con l’altro al bene delle cose, alla semplicità, alla negazione della prevaricazione del più forte, ai giusti equilibri fra le parti.
Con questa traccia (che può essere letta anche come un suggerimento, una linea guida, o per chi non vuol riflettere, anche un insegnamento), Morfeo si sveglia dal suo lungo viaggio onirico ritrovandosi di nuovo un bambino, nella notte di natale del 1955. Una persiana cade e per poco non lo colpisce in testa. La sua testa è salva e così anche la sua vita. Da grande potrà fare quello che desidera, raccontare delle storie ispirate al bene e metterle per iscritto. Sarà questa la sua goccia in più che fa andare avanti il mondo. Il suo contributo alla causa del bene.
Mi inchino di fronte all’autore che amo tanto, per averci regalato una sua ennesima perla, racchiusa in uno scrigno tanto piccolo ma, al tempo stesso, tanto ricco di spunti di riflessione. Non per ultimo, colgo con ammirazione quel tanto di autobiografico che sembra venir fuori fra le righe (Benni è nato nell’agosto del 1947 e nel natale del 1955 aveva otto anni), oltreché l’intento dell’autore reale di porsi in contatto diretto col lettore implicito, sottoponendo al giudizio di quest’ultimo la sua intera vita da narratore, inventore di favole e personaggi, nonché quello di farsi egli stesso angelo buono, indicatore d’una traccia, per chi lo sta a sentire.
Esemplare.

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