martedì 29 novembre 2011

Marcello Simoni, “Il mercante di libri maledetti”.

Quand’ero ancora a metà lettura del “mercante di libri maledetti”, mi sono imbattuto, per un caso fortuito, nelle voci di alcuni lettori che lo avevano già terminato e che storcevano non poco il naso, scambiandosi commenti fra di loro. Il mio dispiacere è stato grande, perché, arrivato al punto in cui ero, vivevo ancora nell’illusione di vedere intensificare gli eventi e complicare la trama, fino al punto da aspettarmi di veder divenire l’opera così come viene presentata (nella quarta di copertina): “enigmatica come Il nome della rosa” e “avvincente come I pilastri della terra”.
Le premesse, del resto, c’erano tutte, sebbene ogni azione complicante ed ogni nuovo nodo trovava presto la sua soluzione, svilendo un po’ la prerogativa di ogni thriller di accrescere il pathos ad ogni pagina ed incalzare il lettore, tenendolo sveglio la notte a sfogliare le pagine di un mistero che diviene sempre più buio e complicato man mano che va avanti. Per intenderci, mi aspettavo il colpo di scena che sovvertisse tutte le certezze acquisite fino a quel momento, oppure il colpo di genio che mettesse insieme tutto quel ch’era stato seminato fin lì e gli desse una nuova direzione. Invece la trama ha continuato ad andare avanti, liscia, senza offrirmi grandi suggestioni né suscitarmi particolari curiosità.
La storia si svolge in pieno medioevo, all’inizio del XIII secolo, epoca dei Comuni e delle grandi monarchie europee, ma anche età d’oro delle grandi cattedrali cristiane che, per venire edificate ed crescere di prestigio, richiedono ingenti risorse economiche alle masse. A tal fine, viene sempre più sfruttato il culto delle reliquie sacre, tanto che il periodo conosce un vero e proprio commercio, che spazia per tutto il mondo cristiano, da poco allargatosi per via delle crociate, di frammenti d’ossa o di vesti ed oggetti appartenuti a martiri, beati e santi.
In questo contesto si muove il mercante Ignazio da Toldo, uomo colto e tenace, protagonista della storia, il quale, dopo esser ritornato dalla Terra santa, viene coinvolto nella ricerca dell’unica copia conosciuta dell’Uter Ventorum. Con questo titolo si designa un libro a metà strada fra il sacro e il profano, la scienza e la religione, che viene visto, o meglio, viene idealizzato come il mezzo più diretto, ma, non di meno, immorale, per apprendere la stessa sapienza degli angeli ed, eventualmente, farne uso per accrescere il potere personale di chi lo legge.
La ricerca dell’Uter Ventorum parte da una iscrizione, suddivisa in quattro parti, che Ignazio trova sulla tomba del suo amico e ultimo possessore certo del libro, Padre Vivïen de Narbonne. Sulla scia di Ignazio e di due suoi fidati amici, che lo accompagnano in quell’Europa di cattedrali e facili suggestioni, però, c’è un gruppo di cavalieri che lascia morte e spavento ad ogni apparizione e che se ne vuole appropriare per primo. La ricerca diventa, quindi, quasi una fuga senza soste, intervallata solo dalle tappe forzate che l’enigma iniziale impone al mercante.
A fronte di una traccia che, davvero, appare suggestiva e avventurosa, mancano, però, purtroppo, un’appropriata scelta dei tempi, una ottimale caratterizzazione delle figure ed una più ampia ambientazione degli avvenimenti. E’ vero che si tratta di un’opera prima, ma personalmente, dopo aver anche appreso che il libro ha spopolato in Spagna, ov’è stato pubblicato prima che da noi, mi aspettavo di più, molto di più.
Peccato!

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