venerdì 30 settembre 2011

Siba Shakib, “Il sussurro della montagna proibita”.

L’egemonia conquistata da alcuni stati nel corso del ventesimo secolo, lo sappiamo tutti, è il frutto principalmente dello sfruttamento delle colonie e dell’ingerenza approfittatrice in paesi terzi. La splendida storia narrata nel sussurro della montagna proibita descrive la presa di coscienza da parte del popolo iraniano dell’uso distorto, egoista e usurpatore che proprio quei paesi, quali l’Inghilterra, la Russia e gli Stati Uniti d’America, hanno perpetrato in suo danno.
In realtà, la storia si presenta come un appassionante romanzo d’avventura che narra la lunga intera vita del suo protagonista principale, un uomo di origini umili e senza una prospettiva migliore di fare il servo della gleba, Eskandar. Egli nasce in un villaggio così povero del sud dell’Iran che non ha nemmeno un nome. E’ il 1901. Ancora giovanissimo, Eskandar si rende conto che il suo villaggio non è com’è rappresentato nei racconti degli anziani, ossia florido e con un fiume che lo attraversa; anzi, proprio la penuria d’acqua rischia adesso di farlo scomparire. Gli animali muoiono, i bambini si ammalano, le piante non crescono e il re sembra disinteressarsi di tutti questi problemi. Dapprima, gli abitanti del villaggio riferiscono la colpa della carestia e della miseria a sé stessi, dato che pensano che sia una punizione di Dio. Poi, solo dopo che, violando i precetti dei religiosi, Eskandar scala la montagna proibita e scopre che sul suo altopiano i farangi, ossia gli stranieri, stanno scavando buche ed hanno acqua e cibo a volontà, tanto da darne ai propri cani, si scopre che il vecchio fiume è stato deviato e che le cause della loro carestia proviene proprio da lì. Chi ha dato il permesso ai farangi di scombussolare l’equilibrio naturale nel quale era ricompreso il villaggio di Eskandar è il re, il quale, si è solo illuso di potere riceverne benefici, mentre, di fatto, è il primo degli sfruttati. Sull’altopiano della montagna proibita, vicino Abadan, nel sud dell’Iran, infatti, gli Inglesi hanno trovato il più grande giacimento di petrolio fino ad allora conosciuto, fondando l’Anglo-Iranian Oil company. Compagnia che di inglese ha le macchine e le risorse economiche e di iraniano la sola forza lavoro sottopagata. Inizia qui la vera avventura di Eskandar, che diviene dapprima amico per necessità dei farangi, per poi discostarsene e finire per odiarli, man mano che, nel corso della sua vita assume la consapevolezza di ciò che fanno ai danni del suo paese. Quelli, infatti, pur di ottenere per sé l’oro nero, hanno plasmato le genti in modo da farsi amare o da metterle in lite, al fine di fungere da liberatori, da guaritori delle lotte intestine. In ciò, peraltro, godendo dei favori dell’Iran stesso, per combattere il “nemico comune” per eccellenza, la Russia, anch’essa interessata ai giacimenti di petrolio. Eskandar fugge, diventa ricco, entra nelle grazie dei potenti e finisce di nuovo povero, in un divenire continuo in cui, da giovanissimo, diventa giovane, maturo, e poi anziano e stanco. Nella sua vita fa il cantastorie, mille mestieri artigiani, il fotografo e l’impiegato negli uffici di governo e persino la spia, ma quel che accompagna tutta la sua crescita sono le storie che la gente vive giorno per giorno; le storie che spiegano come l’ignoranza del popolo ha reso l’Iran succube dei paesi evoluti ed economicamente forti; le storie di un popolo che pur umiliato, sfruttato, involgarito dalle influenze esterne, imbarbarito dalle guerre alimentate da paesi stranieri per un suo esclusivo tronaconto, ha avuto sempre una grande coscienza sociale, ha sempre saputo rialzarsi e credere di potere ottenere la libertà, un governo ed un’economia propri; le storie che lui custodisce gelosamente, dopo averle scritte e rappresentate con fotografie, “affinché la memoria non venga perduta”, e che lascia in eredità ai suoi discendenti, perché sappiano bene da dove vengono e da chi si devono guardare. Intorno agli anni ‘50, quando sembra che il sogno iraniano diventi realizzabile, però, si profila all’orizzonte la più grande minaccia abbia mai subito: il sopraggiungere sulla scena degli Stati Uniti d’America.
Un libro già scritto nella storia, ma abilmente rappresentato dall’autrice. Encomiabile il modo di entrare nel vivo dell’animo del popolo iraniano attraverso la vita privata del protagonista, le difficoltà personali incontrate nel sentiero della vita, le conversazioni con la moglie, la figlia, la nipote, gli amici. Sullo sfondo le notizie vere di cronaca in cui si avvicendano il violento Reza Khan, il disgustoso Churchill, l’apostolo Truman, il pianificatore Roosevelt, il fantoccio Reza Pahlavi, il rivoluzionario Khomeyni e il presidente senza scrupoli, Bush.

Nessun commento:

Posta un commento