lunedì 20 dicembre 2010

Andrea De Carlo, “Leielui”.

Daniel Deserti e Clare Moletto si conoscono in modo imprevisto: un incidente stradale. Lui tampona la macchina in cui lei sta viaggiando col suo fidanzato. Da quel momento, dapprima grazie a circostanze fortunose e poi via via sempre di più volute, i due iniziano a frequentarsi, a conoscersi e a rimanere sempre più imbrigliati in una trama di curiosità, appagamento nascosto e gioco delle parti che li apre, da una parte, l’uno all’altro, ma che li rende dall’altra parte, sempre più vulnerabili al sentimento che comincia ad aleggiare fra di loro.
Con Leielui, De Carlo, ancora una volta, non perde l’occasione per mettere in scena i temi a lui più cari, come la sorpresa dell’uomo nel riscoprirsi più vicino alla natura che non ai sistemi di vita apparentemente perfetti e tecnicamente avanzati; l’incomunicabilità fra quanti sono degni figli del tempo presente e quanti se ne discostano per istinto di sopravvivenza; i sentimenti visti come spie nascoste e che una volta rivelate fanno emergere le diverse personalità umane, intrappolandole in compartimenti stagni.
E tutto ciò lo fa con una maestria che fa sembrare persino facile il compito dello scrittore. Non si può non cogliere, infatti, lo stile fluido, impeccabile, e lineare. Eppure, a stare bene attenti, c’è una cura tanto nello stile che nella trama che interessa ogni parte del romanzo.
L’esempio più lampante (a voler tacere del perfetto gioco narrativo ad incastri, con particolari lasciati sparsi qui e là, che solo da principio risultano essere apparentemente inutili e che non sfuggono nemmeno ad un lettore distratto; o a voler tacere anche - per questa volta, almeno - di certi virtuosismi lessicali o di certi effetti “scenici”, quasi fossero un retaggio del regista cinematografico De Carlo) è dato dalla caratterizzazione dei personaggi, che è oltremodo attenta e delineata fin dentro ogni più recondito particolare. Tale caratterizzazione, infatti, si lascia cogliere anche dai discorsi diretti o dai flussi di coscienza oppure ancora attraverso l’escamotage più vecchio, personale e meglio sperimentato dall’autore che, quando può, procedendo con metodo - che potremmo definire - “a contrario”, pone accanto ad ogni protagonista un suo personale antagonista, da cui fugge, od al quale si contrappone.
Ne ho letti tanti libri di De Carlo, e credo di poter dire che il massimo sforzo teso a caratterizzare i personaggi sia stato profuso proprio nel romanzo in commento (anche se “Giro di vento”, in cui c’è il più alto numero di protagonisti ognuno con la sua marcata personalità, non può dirsi da meno). Inoltre, c’è da sottolineare la presenza di un personaggio-tipo che all’autore deve piacere tanto perché ricorre spesso nei suoi libri (o almeno, così è in tutti quelli che ho letto io); un personaggio apparentemente burbero, singolare, le cui intenzioni non sono sempre alla portata di quelli che gravitano attorno a lui e che tanto meno sono per questi ultimi prevedibili o controllabili. In questo “tipo” rientrano, per citarne alcuni, Macno, nell’omonimo romanzo (Bompiani, 1984), Guido Laremi, in “Due di due” (Mondadori, 1989), Maria Chiara, in “Nel momento” (Mondadori 1999), Lorenzo Telmari, in “Mare delle verità” (Bompiani, 2006), Durante, nell’omonimo romanzo (Bompiani, 2008) e adesso, con “Leielui”, in parte, anche Daniel Deserti. Perché dico “in parte”? Perché man mano che la narrazione va avanti, il Daniel Deserti-personaggio tipo compie una specie di rivoluzione, mettendosi in discussione e dimostrandosi fallibile perfino a sé stesso (cosa che, invece, gli altri suoi consimili non fanno mai). Che si debba registrare un cambiamento nella scelta dei personaggi di De Carlo? Qualunque sia la risposta, resta il fatto che Daniel, di certo, non si può annoverare fra quelli che ci capita tutti i giorni di frequentare, anche se può suscitare un certo desiderio di conoscere persone come lui.
L’unica osservazione critica, se tale si può dire, per un romanzo appagante come questo è - strano a dirsi - rivolta al commento che l’autore stesso fa del suo romanzo. Egli dice di aver voluto “dare ai due protagonisti, donna e uomo, lo stesso peso”, facendo in modo che “a capitoli alterni la storia [venisse] raccontata dal punto di vista di lei e di lui”. Detta così, infatti, avrei immaginato che la stessa sequenza o lo stesso spazio temporale venissero riproposti due volte, alternando appunto i punti di vista. In realtà, se vera, o quantomeno condivisibile è la pari misura data a Daniel e Clare, l’unica alternanza si rinviene nella prospettiva del narratore, che getta ora uno sguardo sull’uno, ora uno sguardo sull’altra. E ciò, peraltro, sempreché i due non si trovino nello stesso contesto.

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