mercoledì 27 ottobre 2010

Denis Guedj, “il teorema del pappagallo”.

Pierre Ruche, un sagace libraio parigino ottantaquattrenne che ha perso l’uso delle gambe, riceve due lettere a breve distanza di tempo provenienti da Manaus, al centro della foresta amazzonica. Chi le scrive è Elgar Grosrouvre, un suo amico e collega universitario, che credeva morto da quasi cinquant’anni. Grosrouvre gli preannuncia di avergli spedito le casse contenenti tutti i libri e le riviste di matematica, fra cui pezzi unici, antichissimi e di grandissimo valore, raccolte nel corso della sua intera vita. Ciò, perché, gli rivela senza essere più preciso, dopo essere riuscito a dimostrare due delle più controverse regole matematiche di tutti i tempi, ossia l’ultimo teorema di Fermat e la congettura di Goldbach, presagisce una morte imminente e violenta. C’è, infatti, chi vuole ottenere a tutti i costi le due dimostrazioni, mentre Grasrouvre vuole che rimangano segrete. Nell’impossibilità di contattarlo, Ruche si porrà dunque come primo obiettivo quello di capire se la morte dell’amico conseguirà ad una sua scelta o se teme di essere ammazzato e, in quest’ultimo caso, da chi.
Da ciò, poi, seguirà una serie infinita di altri interrogativi a cui l’ottantaquattrenne proverà a dare risposta, studiando e leggendo tutti i libri di matematica che, nel frattempo, gli sono arrivati. A sorreggerlo in questa avventura la sua insolita famiglia, composta da Perrette, l’aiutante libraia che ospita nella sua casa, con i suoi figli, le cui origini sono più che ignote, oltre ad un piccolo seguito di amici e collaboratori stretti. Fra questi ultimi, rientra pure un pappagallo sottratto da Max, il figlio sordo di Perrette, al traffico di animali nei sobborghi di Parigi, che si rivelerà ben presto più saggio di quanto non s’immagini.
Quando gli studi e gli interrogativi cominciano a dare i propri frutti, però, una svolta inattesa porta nel caos Ruche e i suoi amici: Max e il pappagallo vengono sequestrati da una banda i cui scopi non appaiono subito chiari e tutti gli sforzi vengono quindi diretti verso la loro liberazione.
Un libro quindi dalla trama avvincente, come tutti i migliori thriller, con la straordinaria originalità di portare al centro della scena e davanti a tutti i ragionamenti il metodo matematico, così come si è evoluto nel corso dei millenni.
Le letture di Ruche, infatti, vengono portate in primo piano e discusse fra i protagonisti, affinché anche il lettore possa imparare a individuare fra le righe il metro di ragionamento seguito e provare magari a ricostruire il loro pensiero prima ancora che si riveli appieno.
Per questa sua caratteristica, il romanzo appare certamente vincente, anche se in certi momenti può risultare stancante e noioso. Dopo i primi capitoli di pura narrazione, infatti, si ripercorre la storia delle scienze matematiche, coi suoi dogmi e le sue dimostrazioni che non sempre - questo deve pur dirsi - appaiono perfettamente chiare (specie a chi, come me, di matematica ne mastica ben poca). Solo dopo che viene superata la parte centrale, che alterna narrazione a ragionamento, dati storici, con tanto di formule e diagrammi, alla fantasia, si torna a respirare una bella narrazione con tanto di azioni e descrizioni da far vivere da vicino gli avvenimenti.
In definitiva, ritengo che, se non si tiene conto dei tanti dubbi - per me - irrisolti o risolti in maniera non chiara e della distrazione dalla quale ci si lascia prendere ogni tanto, la lettura risulta comunque da encomiare. Come dire che non sempre piace ciò che è buono, ma che gliene si deve dare pur atto.
Prima di congedarmi, però, vorrei porre una domanda a chi ha letto il libro prima di me o che si accinge a farlo: come si risolve il mistero della nascita dei figli di Perrette nelle viscere di Parigi? Può essere che l’autore si è dimenticato di darcene una risposta; o dovremo anche noi ricorrere a studi complessi che ci porteranno a disquisire sulla quadratura del cerchio e la trisezione dell’angolo per avere una risposta?

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