La trama di “un giorno” si presenta al lettore semplice e poco fantasiosa: Emma e Dexter, due giovani neolaureati inglesi, appena si conoscono hanno la prima occasione per passare un’intera giornata insieme. E’ il 15 luglio 1988. Il primo giorno e, potenzialmente, anche l’ultimo, dato che ciascuno dei due vive in una città diversa, dove sta per fare ritorno, ora che si è chiuso il ciclo di studi, ed è mosso da ambizioni e prospettive di vita apparentemente inconciliabili con quella dell’altro. Sennonché il fato, la magia del momento, il desiderio di non perdersi di vista e la scommessa col destino fanno sì che i due, se non prendono a frequentarsi con assiduità, quantomeno inizino ad apprezzare col tempo il fortissimo legame che li unisce. Il libro racconta, dunque, il divenire del rapporto fra Emma e Dexter, con la originalità che ogni capitolo è dedicato unicamente al 15 luglio di ogni anno che va dal 1988 fino al 2007.
Ora, se mi fossi fermato a leggere la trama, sono più che certo che non avrei mai letto questo libro. L’avrei immaginato come il romanzo di un amore difficile o contrastato che rinvia tutto ad un ipotizzabile roseo epilogo. Un genere, insomma, che non incontra i miei gusti. Invece, nella quarta di copertina faceva bella mostra di sé un commento entusiastico del mio amato Jonathan Coe, per il quale “è difficile trovare un romanzo capace di affrontare il passato recente con tanta autorevolezza, ed è ancora più raro incontrarne uno in cui i due personaggi principali siano raccontati con una solidità, con una dolorosa fedeltà alla vita che davvero, quando chiudiamo il libro, abbiamo la sensazione di conoscerli quanto i nostri amici più cari”.
Pertanto, mi sono lasciato prendere dalla curiosità di leggerlo.Ora che l’ho fatto, non posso fare a meno di meravigliarmi nel constatare che il carattere e la personalità dei protagonisti siano così compiute da sembrare capaci di uscire fuori dalle parole spese per descriverle. La cosa più sorprendente è che l’autore non si è limitato a fare un quadretto di Dexter ed Emma, racchiudendoli in un ambiente statico, ma li ha fatti crescere, seguendoli passo dopo passo, per quasi vent’anni in un processo che, chi legge di loro non può non notare, si riflette sullo stile di vita, sulle aspettative e persino sul linguaggio usato. E poi, il ventennio considerato non è neppure un qualunque ventennio, astrattamente considerato, ma è proprio quello che comincia dalla fine degli anni ’80, che abbiamo conosciuto, e le loro vite sono intrise anche del sapore di quegli anni. Penso che i caratteri e le storie di Dexter ed Emma siano stati così compiutamente descritti attraverso i fasci di caratterizzazione e i flussi di coscienza che predominano nella narrazione che potrebbero persino aprirsi tavole rotonde, discutendo fino all’alba, sul loro modo (stavo aggiungendo, reale) di atteggiarsi nel contesto in cui sono calati.
Ciò mi ha colpito e ha reso la mia lettura del libro più che piacevole. Ma ho avuto modo di apprezzare, e lo voglio dire, anche lo stile adoperato, perché si combina perfettamente con la scena ed è quindi ricco di ellissi, pause e digressioni, determinando un tempo della narrazione che, di volta in volta, si fa più o meno ampio. E poi, infine, c’è l’aspetto più interessante, ossia la suddivisione in capitoli che fanno riferimento ciascuno al 15 luglio di un anno diverso e cronologicamente successivo. Ogni capitolo, infatti, costituisce una macrosequenza, direi, sfilacciata, dato che lascia solamente intendere (senza peraltro dare mai luogo a dubbi) ciò che verrà nei giorni o nei mesi seguenti a quelli espressamente descritti. Se il dubbio c’è è solo perché è assolutamente voluto e gestito, al fine di creare un po’ di suspense, ed il capitolo successivo lo renderà evidente, oltre che risolverlo.
Insomma, un buon libro, che sono contento di aver letto.
L’unica mia nota critica va al traduttore (o all’editore?) che ha reso il titolo originale “one day” letteralmente come “un giorno”, mentre, forse, per restare più fedele al significato che, mi pare ovvio, l’autore gli ha voluto attribuire, avrebbe dovuto, con un piccolo sforzo interpretativo, tradurre in “un solo giorno”. Ma anche questo, come tutto il resto, non è che un mio modesto parere.
condivido quello che scrivi..ma secondo te la traduzione non è pessima??
RispondiEliminaPessima non direi, dai! Forse il traduttore si è voluto attenere molto al significato delle singole parole (com'è nel caso che io stesso ho spiegato, relativo alla traduzione del titolo), senza badare tanto al significato che gli si voleva attribuire (e con ciò, facendo bene e male il suo mestiere, a seconda del punto di vista). Ma non saprei davvero dirlo, se non altro perché non ho avuto l'occasione di fare un raffronto con l'originale.
RispondiEliminaTu perché ritieni che sia pessima?