martedì 16 ottobre 2012

Francesca Melandri, “Più alto del mare”.


Era da un po’ di tempo che cercavo con lo sguardo sugli scaffali delle librerie una nuova opera di Francesca Melandri, dopo l’interesse che aveva destato in me il suo primo romanzo, “Eva dorme”. Finalmente l’ho trovata.
E’ bello ritrovare lo stile di un autore che si conosce già. Anche quando non ti è entrato nelle vene e non ti ha fatto impazzire. Quel che desta maggiore piacere in te, infatti, è l’idea che la rappresentazione di un fatto possa essere espressa da migliaia di persone, ma che qualunque di queste la riproporrebbe a suo modo, in maniera più o meno incisiva, più o meno riconoscibile, ma pur sempre unica.
E, bello è stato per me ritrovare lo stile della Melandri che, oltre a differenziarsi da quello di tutti gli altri autori, spicca per la sua apparente semplicità e linearità, celando appena, per non apparire pesante, un’attenzione, che invece sembra essere quasi maniacale, alla singola parola.
Anche per tale ragione, le 240 pagine scarne che dividono la prima dall’ultima pagina non si presentano come un modo semplicistico per portare a termine una favoletta da quattro soldi in cui taluno, se vuole, può ritrovare qualche recondito significato. Tutt’altro, a me sembra, anzi, una volta di più, un modo per evitare di allungare il brodo con giri di parole che, quando non risultino stancanti, possano persino deviare il lettore dall’attenzione che invece dovrebbe rivolgere al significato delle parole usate.
La vicenda narrata, nella sua essenza, non è molto originale: un uomo e una donna fanno la loro conoscenza e scoprono di avere in comune più di quanto l’apparenza non lasci immaginare. Quel che la rende, invece, originalissima, è la circostanza in cui i due protagonisti si incontrano e la, pur breve, e quasi inevitabile, avventura che li vede compartecipi.
A questo punto, non mi voglio sbilanciare ad aggiungere altro, per non privare il lettore del piacere di scoprire quel che si nasconde fra le righe del romanzo. Torno, invece, a dir di ciò che l’uomo e la donna hanno in comune, perché si tratta di un sentimento sublime, di cui entrambi avvertono la necessità e che ritrovano nell’altro, quasi come una manna venuta dal cielo a risollevarli dalle loro pene. Per qualcuno si tratterà di amore, per qualcun altro di una grande e vera amicizia; non lo sapremo mai, a meno di non conoscere una continuazione del bel romanzo. Quel che certo è che ciascuno di loro, reciprocamente, sazierà il proprio desiderio di comprensione.

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