domenica 14 agosto 2011

Mario Vargas Llosa, “Il sogno del celta”.

La storia è costellata di eroi che il tempo tende a far dimenticare, specialmente quando sono divenuti tali per aver smascherato le violenze e i crimini di chi si è arricchito dando ascolto esclusivamente alla propria cupidigia. Perché, in tali casi, al primo presunto passo falso dell’eroe, colui che è stato smascherato torna a farsi più forte di prima, gettandogli addosso discredito, fomentando i dubbi sulla sua moralità e, soprattutto, sulla veridicità dei fatti rivelati, al fine di riacquistare, per sé stesso, l’onore e il prestigio persi.
Un esempio di ciò, tanto drammatico quanto intenso e straordinariamente rappresentato, ce lo da Vargas Llosa nel romanzo dato alle stampe dopo aver vinto il premio nobel per la letteratura, “il sogno del celta”.
Qui si narra la vicenda vera, ambientata nei primissimi anni del ‘900, di Sir Roger Casement, un diplomatico inglese, di origini irlandesi, divenuto sir proprio grazie al grande servigio reso alla corona britannica. Egli, infatti, di ritorno da una missione nella colonia belga del Congo, aveva rivelato le atrocità che si compivano in Africa ai danni delle popolazioni indigene, le quali venivano costrette sotto la minaccia di pene corporali, che il più delle volte venivano applicate, a raccogliere la resina per la produzione del caucciù, per conto di Leopoldo II del Belgio. Inoltre, aveva portato un rapporto analogo, se non anche più demoralizzante, per le crudeltà descritte con lucidità e completezza di dettagli e prove, dalla Foresta amazzonica ove, una compagnia, questa volta privata, ma di provenienza inglese, i cui soci erano tutti nobili e rispettabili uomini d’affari, era persino riuscita a insediarsi in tutte le istituzioni pubbliche, se non anche religiose, al fine di estrarre e rivendere il caucciù nella più completa impunità, adottando metodi brutali che vanno oltre ogni umana immaginazione, per ottenere il massimo rendimento con la minima spesa.
L’eroe Casement, forse, sarebbe rimasto tale se le esperienze in Congo e in Amazzonia non gli avessero fatto rivivere la propria condizione di irlandese vittima del colonialismo inglese e, nella sua veste di diplomatico, per ironia della sorte, di pedina forte del governo oppressore, seppur incapace di far valere i propri ideali e il proprio orgoglio nazionalistico. Per tale ragione, infatti, all’alba della prima guerra mondiale, allo scopo di liberare l’Irlanda dalle maglie inglesi, strinse accordi fatali con la Germania, col risultato di venire impiccato per sovversione, non prima, peraltro, che a suo carico venissero mosse una serie di accuse (sulla cui veridicità ancor oggi si discute) che avrebbero riportato la sua immagine al di sotto della comune rispettabilità.
La storia, dicevamo, è fatta di eroi che si dimenticano ma anche di malfattori che si vogliono dimenticare. Quel che resta di certo sono gli scontri fra il bene e il male, sollevati dall’una e dall’altra parte, ed il continuo divenire di queste due forze contrapposte nel quale, attraverso aggiustamenti, leggi, conquista di nuovi ideali, pronunciamenti di principi morali, movimenti culturali e così via, ma anche, purtroppo, grandi ipocrisie ed interessi di potenti che sembrano essere intoccabili, a volte ci sembra di aver compiuto degli enormi passi avanti e volte ci sembra di essere rimasti fermi all’era della pietra. Questo è quel che insegna lo splendido romanzo, lasciando solo intravedere, con una delicatezza che solo una mente superiore alle altre è capace di elaborare, che persino chi viene riconosciuto come un eroe, è pur sempre un uomo, come tutti gli altri, e come tale offre il fianco alle sue debolezze e rischia di non piacere ai propri stessi amici, in forza di un sogno che per lui vale tutta l’esistenza.
Il sogno del celta è un’opera magistrale, evocativa, capace di farti sentire parte della scena e di volere scendere in piazza a combattere tutte le ingiustizie sociali e a volere gridare che le ipocrisie ci stanno sopraffacendo più della violenza di chi se ne serve. Mentre leggevo, pensavo ad esempio ai milioni di cinesi che, ancor oggi, in pieno XXI secolo, lavorano in spesso in condizioni disumane, senza le dovute remunerazioni o assistenze, nell’interesse di società originarie di paesi in cui le leggi aborriscono il trattamento a cui sono condannati quegli uomini. Ci pensavo perché sono un fatto noto, a fronte di mille altri solo ipotizzabili, che non vengono contrastati e che continueranno a vivere finché la legge dei potenti non verrà soppiantata dagli ideali delle grandi masse. Il libro è un tassello che milita per questi ideali.

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