mercoledì 26 settembre 2012

Mauro Corona, “La casa dei sette ponti”.


Se il treno vi sta riportando a casa dopo le vacanze o state aspettando un amico e siete pronti già da un pezzo e non sapete come ammazzare il tempo, ecco il libro che fa al caso vostro. Riuscirete a leggerlo tutto d’un fiato forse in poco più di un’ora, ma sarà già un tempo sufficientemente lungo per farvi estraniare dalla realtà che vi circonda.
Come sempre in tutto ciò che è scritto da Mauro Corona, quel che prevale non è la sottigliezza del pensiero, che faccia perciò emergere il raffinato senso di intendere le cose da parte del suo autore, né l’eleganza dello stile o l’accuratezza degli intrecci della fabula, nel quale è bello immergersi a lungo prima di conoscere il finale. No, non prevale niente di tutto questo, quanto semmai la semplicità, a volte persino disarmante, con cui la narrazione viene portata avanti.
Un industriale della seta toscano, capacissimo nel suo mestiere, tanto da essere sopravvissuto all’ingresso dei cinesi nel mercato, quando quasi tutti i suoi conterranei hanno fallito, si ammala di curiosità. La curiosità di sapere cosa c’è e chi vive in una casetta isolata e semi-diroccata che incontra quando percorre le valli interne dell’Appennino tosco-emiliano che conducono ai luoghi della sua infanzia.
La curiosità sarà così forte da trascinarlo in una specie di sogno ad occhi aperti, in cui ripercorre le sue origini, rivede la sua nascita e la via che lo ha condotto a diventare quel che è, ma soprattutto rimane sorpreso nel vedere quante cose ha lasciato alle sue spalle ingiustamente. Nel suo viaggio onirico, rivive la sintesi della sua vita e ritrova la forza per tirare fuori dal proprio cuore il rammarico, la nostalgia e soprattutto il coraggio di ammettere di avere intrapreso, a causa di un demone, di cui il libro tace, ma che potremmo chiamare qui, a nostro uso e consumo, per semplicità, successo, denaro o potere, una via che non gli competeva. In tal modo, per sua scelta, infine, agli occhi del mondo, fallirà anch’egli come gli altri industriali della seta, cedendo il passo all’industria cinese, ma intimamente otterrà una ricompensa morale che lo appagherà più di quanto il denaro, il successo e il potere non erano riusciti a dargli finora.
Un racconto breve che ho già detto essere tanto semplice da risultare disarmante, ma, aggiungo ora, anche tanto fermo da non lasciare spazio a diverse soluzioni. Forse poco originale, ma sicuramente non banale come alcuni hanno commentato qua e là sul web e dai quali mi dissocio apertamente.

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