mercoledì 6 aprile 2011

Siegfried Lenz, “La compagnia dei teatranti”.

Nella cornice triste della casa circondariale di Isenbüttel, nel cuore della Germania, due uomini si trovano a condividere la stessa cella, riconoscendosi subito come conviventi ideali. Sono Hannes e Clemens, che si trovano lì per aver peccato di fantasia e di troppo amore. L’uno, infatti, fingendosi un vigile, si era intascato le multe che aveva irrogato a malcapitati automobilisti; l’altro, soprannominato il Professore, perché tale era prima di essere arrestato, si era portato a letto tutte le sue studentesse più belle che, a loro volta (per un caso della vita), si erano laureate col massimo dei voti. E la cosa aveva suscitato la gelosia delle brutte.
Non si può fare a meno di amare sin da subito i protagonisti della storia, per i loro sentimenti, la loro dignità e il loro amore smisurato per la libertà.
L’avventura ha inizio il giorno in cui la compagnia del Teatro nazionale, la Landesbühne, va a dare uno spettacolo all’interno del carcere. I due amici, infatti, insieme ad altri detenuti, riescono a impossessarsi del pullman della compagnia e fuggono, senza una meta precisa, finendo col trovarsi nel paese di Grünau. Caso vuole che la cittadina è nel bel mezzo della festa annuale e loro vengono accolti come veri artisti, intervenuti per l’occasione.
Il fatto è che, pur nella disorganizzazione iniziale, i finti teatranti riescono davvero a divertire e intrattenere la gente, tanto che il sindaco del paese li vuole assoldare per realizzare la sua ambizione di far diventare Grünau -usando un’espressione attuale- un polo d’attrazione artistico e culturale. Nei suoi ideali, infatti, l’arte va posta al primo posto, al pari della cultura e della memoria storica.
Anche questo secondo impegno viene accettato dai finti teatranti, ma quel che si comprende subito è che ciò che li muove non è solamente, anzi non è quasi per niente, il fine di rientrare nei ranghi della vita civile, ma si giustifica con l’amore per l’arte e quello per la cultura che pervade anche loro stessi. Su tutto, però, incombe sempre il pericolo di essere rintracciati e rimessi in carcere; pericolo che si accresce man mano che va crescendo la loro popolarità.
Il lungo racconto, che si legge in tre-quattro ore, si può dividere idealmente in due parti. Una prima, in cui si descrivono i personaggi e gli antefatti; e una seconda; in cui si svolge la storia. La fine del racconto è anche la fine dell’avventura, ma l’inizio di nuove e profonde riflessioni, sia per chi è destinato a rimanere dietro le sbarre (d’onde alcuni hanno parlato di opera picaresca, mentre in realtà, a mio modo di vedere, sarebbe più corretto definirla trascendentale) che per chi ha goduto ad apprendere le gesta di questi ultimi sfogliando le pagine che le raccolgono.
Io sono uno di questi e quelle di seguito sono le riflessioni che ho fatto dopo la lettura. Chi è dentro l’arte, chi si lascia trasportare dai sentimenti, ha un dono certamente superiore a tutti gli altri: ha la libertà dello spirito. Anche se privo della libertà di agire, vive infatti una libertà interiore che si materializza nei suoi sogni, nei suoi progetti, pur non realizzati, ma solamente desiderati.
Se il mondo, nella diversità dei suoi componenti, non è sempre disposto a capire la purezza d’animo, il candore, la ragionevole stravaganza delle passioni, ciò non potrà comunque ledere la libertà interiore di chi le prova, che continuerà a vivere e a espandersi nonostante la privazione fisica degli spazi. E ciò ancor ove se si aggiunga che la questione non si limita ad un mero relativismo.
Leggete le ultime pagine del libro e se condividerete, o ancor meglio vi attenderete, la scelta di Hannes apparterrete, almeno oggi, alla fortunata fetta di uomini che si possano dire liberi.

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