mercoledì 26 settembre 2012

Umberto Eco, “Il nome della rosa”.


Era da un bel po’ che non leggevo un libro, per cui, quest’estate, avendo finalmente ritrovato il tempo per farlo, ho voluto riprendere alla grande, andando a sceglierne uno di quelli, che non sono neanche pochi, che prima o poi nella vita tutti dovrebbero leggere. Così la mia scelta è ricaduta sul Nome della rosa, di Umberto Eco.
Premetto di essere stato uno dei tanti ad avere visto e rivisto il film, amandolo ogni volta di più, ma devo anche dire che la lettura del libro - come quasi sempre avviene quando si fa il raffronto tra i due generi di opera - è stata una cosa ben diversa, più suggestiva, ma anche più densa di riferimenti storici, di riflessioni dei protagonisti e di spunti di riflessione per i lettori. E’ vero che, leggendo, sentivo echeggiare nella mia testa la voce del (doppiatore del) grande Joan Connery (che, per chi non lo sapesse, ha indossato, forse nella sua interpretazione in assoluto più brillante, le vesti di Guglielmo da Baskerville, protagonista principale del romanzo) e rivedevo in ogni personaggio i volti che mi erano già noti dalla pellicola, ancorché non rispondessero esattamente alla descrizione che se ne trova sul libro, ma è anche vero che il romanzo, oltre ad essere un vero e proprio giallo, ben costruito ed avvincente, è anche e soprattutto, una fonte ricchissima di informazioni e al tempo stesso di interrogativi e moniti per tutti quelli che han sempre creduto (o preferito credere, per comodità) che la storia sia quella che si legge nei libri di scuola e che nulla di ciò che là si apprende possa essere soggetto a critiche o a diverse interpretazioni.
Il racconto si svolge interamente all’interno di un convento benedettino del Nord Italia, quasi al confine con la Francia, sede di una delle più ricche biblioteche dell’antichità, ove frate Guglielmo da Baskerville viene incaricato di scoprire cosa si cela dietro le morti di alcuni monaci, avvenute misteriosamente nel giro di pochi giorni.
L’epoca è il XIII secolo, periodo contrassegnato da accesi contrasti all’interno della Chiesa cattolica, dovuti soprattutto all’intensificarsi di quell’ideologia (che ha fra i maggiori esponenti San Francesco) secondo cui la Chiesa di Cristo debba pensare a curare la salvezza delle anime, disinteressandosi dei beni materiali e senza doversi necessariamente ricoprire di ori ed ingenti ricchezze. Ideologia che viene avversata da un potere trasversale che, se formalmente fa capo unicamente al Papa, di fatto, conosce una congerie infinita di interessi e poteri forti che, diversamente, se la si lasciasse prendere corpo, finirebbe per sgretolarsi.
Nel contrasto, nei dibattiti e nelle lunghe dispute che ne nascono, però, minaccia di insediarsi l’anticristo, il germe che spiana la strada al diavolo, consentendogli di venire a governare le cose del mondo. E’ pur vero che c’è chi intuisce una tale evenienza, ma anziché gettare acqua sul fuoco, paventandone i rischi, ne approfitta per dar man forte alle sue convinzioni. O necessità. Nasce così, o meglio, si sviluppa a macchia d’olio nello stesso periodo la santa inquisizione. La giustizia divina, affidata agli uomini del Papa, per individuare in tutti coloro che si rivelino contrari ai dogmi divini (o meglio, della Chiesa) tracce di eresia e li condanni al rogo (il vero miracolo è che San Francesco non sia mai stato trattato da eretico!).
Il tema centrale del romanzo è, allora, proprio l’anticristo. Centrale, ma per niente unico o preminente nel romanzo. Il lettore non può non finire con l’indugiare a lungo, anch’egli, come già fanno i protagonisti della storia, sulle diverse forme in cui l’anticristo si manifesta e sui luoghi in cui possa appalesarsi, giacché comprende con  Guglielmo da Baskerville che per sbrogliare la matassa di dubbi e misteri sulla causa e l’autore degli omicidi che avvengono all’interno del convento, ci si deve prima interrogare sulla sua reale portata e se per caso nulla si è fatto nella propria vita per agevolarne l’avvento.
Un romanzo che non spetta a me dire unico, per la sua capacità di appassionare il lettore pur conducendolo in argomenti di non sempre facile comprensione o che siano semplici e scontati, ma che voglio ugualmente celebrare per l’alto prestigio che ha dato alla letteratura italiana. Anzi, anche in forza di quest’ultima annotazione direi che sarebbe certamente degno di sostituire “i promessi sposi” sui banchi di scuola, senza mai fare rimpiangere il vecchio e caro Manzoni.

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