Era da un bel po’ che non leggevo un libro, per cui,
quest’estate, avendo finalmente ritrovato il tempo per farlo, ho voluto
riprendere alla grande, andando a sceglierne uno di quelli, che non sono
neanche pochi, che prima o poi nella vita tutti dovrebbero leggere. Così la mia
scelta è ricaduta sul Nome della rosa, di Umberto Eco.
Premetto di essere stato uno dei tanti ad avere visto e
rivisto il film, amandolo ogni volta di più, ma devo anche dire che la lettura
del libro - come quasi sempre avviene quando si fa il raffronto tra i due
generi di opera - è stata una cosa ben diversa, più suggestiva, ma anche più
densa di riferimenti storici, di riflessioni dei protagonisti e di spunti di
riflessione per i lettori. E’ vero che, leggendo, sentivo echeggiare nella mia
testa la voce del (doppiatore del) grande Joan Connery (che, per chi non lo
sapesse, ha indossato, forse nella sua interpretazione in assoluto più
brillante, le vesti di Guglielmo da Baskerville, protagonista principale del
romanzo) e rivedevo in ogni personaggio i volti che mi erano già noti dalla
pellicola, ancorché non rispondessero esattamente alla descrizione che se ne
trova sul libro, ma è anche vero che il romanzo, oltre ad essere un vero e
proprio giallo, ben costruito ed avvincente, è anche e soprattutto, una fonte
ricchissima di informazioni e al tempo stesso di interrogativi e moniti per
tutti quelli che han sempre creduto (o preferito credere, per comodità) che la
storia sia quella che si legge nei libri di scuola e che nulla di ciò che là si
apprende possa essere soggetto a critiche o a diverse interpretazioni.
Il racconto si svolge interamente all’interno di un convento
benedettino del Nord Italia, quasi al confine con la Francia, sede di una delle
più ricche biblioteche dell’antichità, ove frate Guglielmo da Baskerville viene
incaricato di scoprire cosa si cela dietro le morti di alcuni monaci, avvenute
misteriosamente nel giro di pochi giorni.
L’epoca è il XIII secolo, periodo contrassegnato da accesi
contrasti all’interno della Chiesa cattolica, dovuti soprattutto all’intensificarsi
di quell’ideologia (che ha fra i maggiori esponenti San Francesco) secondo cui
la Chiesa di Cristo debba pensare a curare la salvezza delle anime, disinteressandosi
dei beni materiali e senza doversi necessariamente ricoprire di ori ed ingenti
ricchezze. Ideologia che viene avversata da un potere trasversale che, se
formalmente fa capo unicamente al Papa, di fatto, conosce una congerie infinita
di interessi e poteri forti che, diversamente, se la si lasciasse prendere
corpo, finirebbe per sgretolarsi.
Nel contrasto, nei dibattiti e nelle lunghe dispute che ne
nascono, però, minaccia di insediarsi l’anticristo, il germe che spiana la
strada al diavolo, consentendogli di venire a governare le cose del mondo. E’
pur vero che c’è chi intuisce una tale evenienza, ma anziché gettare acqua sul
fuoco, paventandone i rischi, ne approfitta per dar man forte alle sue
convinzioni. O necessità. Nasce così, o meglio, si sviluppa a macchia d’olio
nello stesso periodo la santa inquisizione. La giustizia divina, affidata agli
uomini del Papa, per individuare in tutti coloro che si rivelino contrari ai
dogmi divini (o meglio, della Chiesa) tracce di eresia e li condanni al rogo (il
vero miracolo è che San Francesco non sia mai stato trattato da eretico!).
Il tema centrale del romanzo è, allora, proprio l’anticristo.
Centrale, ma per niente unico o preminente nel romanzo. Il lettore non può non
finire con l’indugiare a lungo, anch’egli, come già fanno i protagonisti della
storia, sulle diverse forme in cui l’anticristo si manifesta e sui luoghi in
cui possa appalesarsi, giacché comprende con Guglielmo da Baskerville che per sbrogliare la
matassa di dubbi e misteri sulla causa e l’autore degli omicidi che avvengono all’interno
del convento, ci si deve prima interrogare sulla sua reale portata e se per
caso nulla si è fatto nella propria vita per agevolarne l’avvento.
Un romanzo che non spetta a me dire unico, per la sua capacità
di appassionare il lettore pur conducendolo in argomenti di non sempre facile
comprensione o che siano semplici e scontati, ma che voglio ugualmente
celebrare per l’alto prestigio che ha dato alla letteratura italiana. Anzi,
anche in forza di quest’ultima annotazione direi che sarebbe certamente degno
di sostituire “i promessi sposi” sui banchi di scuola, senza mai fare
rimpiangere il vecchio e caro Manzoni.
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