Se avete molto tempo a disposizione e non siete inclini a una lettura impegnata, Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì è il libro che fa per voi. Settecentocinquantacinque pagine di intrighi sentimentali, malinconie, paure di sentirsi inadeguati ovvero eccessive fiducie nel prossimo e nel destino, dubbi che fanno perdere l’occasione giusta e rammarichi per ciò che si sarebbe potuto fare e non si è fatto.
E’ l’ultimo romanzo di una trilogia che ha già venduto - così apprendo - milioni di copie in tutto il mondo, firmata dalla scrittrice francese Catherine Pancol. Scrittrice che meraviglia per la capacità di spendere fiumi di parole ed essere tanto dettagliata nella narrazione di vicende, pur banali o ordinarie, che impegnano i suoi personaggi.
Dico subito che il mio rammarico è di non avere letto i due romanzi che hanno preceduto gli scoiattoli (“Gli occhi gialli dei coccodrilli” e “Il valzer lento delle tartarughe”), soprattutto perché credo che oramai non li leggerò più. L’ultimo libro, infatti, richiama episodi accaduti nei primi due, togliendo così al lettore la curiosità di leggerli. D’altro canto, il suo maggior fascino risiede più nella capacità di catturare il lettore, di saperlo intrattenere, che nel messaggio che contiene o nel pensiero che vuole divulgare.Esporre in poche righe la trama è un’impresa ardua, anche perché in verità dovrebbe parlarsi di più trame, ciascuna con una propria direttrice, che si ritrovano in qualche punto, si intersecano, fanno qualche passo assieme e poi tornano a seguire la propria strada. C’è Joséphine, ad esempio, con la sua indole serafica e pacata, che è avvinta dal sogno di potersi unire a Philippe, il vedovo di sua sorella Iris, che a sua volta indugia nel manifestare i propri sentimenti per lei e si trova legato a Dottie, quasi senza volerlo. Joséphine sta cercando di scrivere un libro per uscire da uno stato di insoddisfazione interiore, paura di affrontare la realtà. Di fatto, la sua poca concentrazione viene spesso resa vana dalle mille vicende che le capitano attorno, anche se un ritrovamento fortuito, nella spazzatura, la porterà ad affrontare il suo lavoro con un piglio diverso. Poi c’è, Hortense, che è la figlia maggiore Joséphine, che insegue il sogno di divenire ricca e famosa nel campo della moda e, quando le si presenta la possibilità di occupare due vetrine di Harrod’s fa di tutto per riuscirvi, mettendo a disposizione del migliore offerente, come prima cosa, la sua arma vincente: la bellezza. E poi, ancora, Zoé, la figlia minore di Joséphine, appena sedicenne, che è ben diversa, più riflessiva, della sorella, anche se sta crescendo e brama di divenire disinibita e ambiziosa come lei. Sul fronte opposto c’è Philippe, l’indeciso, ricco, interessante, che vede crescere suo figlio Alexandre e lo vede diventare maturo, con un carattere umano, profondo, ma anche complesso, chiuso in sé e che, forse, a causa della perdita della madre (Iris) si avvicina molto a una barbona conosciuta ad Hide Park. Quasi a chiudere un cerchio ideale c’è la migliore amica di Joséphin, che vive un rapporto con l’amore e l’altro sesso parallelo e decisamente diverso a quello dell’amica, ma con risultati ugualmente catastrofici, e suo figlio Gary, il tenebroso, innamorato di Hortense e da lei ricambiato, ma che per un inesorabile destino non riesce a stringere con lei alcun rapporto duraturo. Lui ha un segreto da rivelare a sé stesso, l’identità del padre, che lo porterà ad affrontare un viaggio col corpo e con la mente. Di personaggi, con le loro storie, in realtà ce ne sono tantissimi altri, che fanno da contorno a questi ed enfatizzano le loro caratteristiche e che mai confondo il lettore o gli danno la sensazione di essere messi lì semplicemente come un riempitivo. Anzi. Proprio grazie ai numerosissimi personaggi, il romanzo è pieno di (tenui) colpi di scena.
Un romanzo dai tratteggi sfumati, dai molti dialoghi da cui emerge il pensiero interiore dei personaggi, con una descrizione asciutta e non per questo poco stimolante. Un libro interessante, senza eccessi, le cui quasi ottocento pagine giustificano solo il piacere di potere indugiare a lungo su delle storie che forse abbiamo vissuto personalmente o ci siamo sentiti raccontare già dai cari amici.
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