Prendi in mano un libro e leggi il
titolo: “Grotesque”. Grottesco. In una lingua che non è la tua. In copertina,
nella copertina dell’edizione economica che hai in mano, almeno, c’è una donna magra,
di spalle, nuda, in penombra. Prima di farti l’idea dalla quarta di copertina
che si tratta - forse - di un romanzo giudiziario, in cui a farla da padrona,
però, è l’atto di accusa dell’autrice nei confronti di una società (autrice che
hai già avuto modo di conoscere e di apprezzare, società che è tanto distante
dalla tua), leggi il titolo del primo capitolo: “Rappresentazioni di bambini
immaginari”. Il prezzo è invitante (€ 10,50), specie per le 847 pagine
fittissime in cui la trama si dispiega. Resti per forza colpito. Non puoi che
portartelo a casa e aspettare il coraggio di iniziare a leggerlo.
Quando l’avrai trovato, ti
troverai in un vortice inesauribile di parole che non ti stancheranno mai e
che, anzi, ti terranno sveglio per tutta la notte pur di continuare ad andare
avanti. Nel frattempo, ti accorgerai che, in realtà, non si tratta di un
romanzo giudiziario, anche se la narrazione ha tutto il sapore della confessione
resa dal personaggio a cui è affidata volta per volta. Solo che questa volta a
giudicare non c’è nessun tribunale, ma ci sei tu, che leggi.
L’editore italiano lo racconta
così: due prostitute di Tokio, Yuriko e
Kazue - la prima, figlia di madre giapponese e di padre svizzero, dotata di una
bellezza quasi sovrannaturale, le seconda, invece, forte di una caparbia
determinazione - sono assassinate in modo feroce, e la loro morte lascia una
serie di domande senza risposta. Chi erano queste due brave ragazze che si sono
trasformate in donne “grottesche”, mostri di perversione ed eccessi, di irriducibile
quanto tragica volontà di indipendenza? Quali eventi hanno condotto la loro
vita verso un esito così tremendo, dove si annida l'enigma di una perdizione
che nulla sembra poter arrestare? Al loro tragico destino si unisce quello di
un contadino cinese immigrato in Giappone, cresciuto con la famiglia in
condizioni di estrema povertà, che viene accusato degli omicidi. Ammetterà di
aver commesso il primo, di aver ucciso la bellissima Yuriko, ma non è stato
l'artefice del secondo, seppure le due violenze siano così simili, e le
coincidenze così schiaccianti.
Seppur, a dispetto di ciò che
sembra essere promesso fra le righe, la vicenda giudiziaria risulti quasi del
tutto estranea alla narrazione, ti troverai ad assaporare, per assurdo, il piacere
di leggere una storia drammatica che unisce tutti i personaggi. La sconfitta di
tutti loro.
Ciò, probabilmente, perché lo
stile adoperato non conosce filtri, né veli dietro cui nascondere il più
recondito pudore, né le più banali ipocrisie su cui si fonda la più sana delle
società civili, sebbene il tuo pensiero ricorrente sarà di detestare sempre di
più la voce narrante, protagonista della storia. O forse, perché spererai fino
alla fine, alimentato come sei stato finora dal romanzetto commerciale, di trovarti
improvvisamente di fronte ad un colpo di scena che possa dare la svolta a tutto ciò
che hai avrai letto o che possa fungere da chiave di lettura diversa al resto del romanzo. Anche
se questo non arriverà mai.
Alla fine, ti convincerai che sei
rimasto vittima di uno sfogo dell’autrice, di un suo personale disagio psicologico,
dal quale forse potrà riuscire a liberarsi sapendo che qualcuno nel mondo, in
questo preciso momento, sta leggendo le sue parole e la sta comprendendo.
Poi, quando avrai chiuso anche l’ultima
pagina e anche l’ultima riga sarà passata velocemente sotto i tuoi occhi,
fluida come un compito ben fatto, che non ha mai conosciuto nemmeno l’ostacolo
di una sintassi complicata o troppo gravida di termini a te ostili, il dubbio
comincerà ad assalirti che, forse, anche tu vorresti unirti a lei, in uno sfogo
simile. Ma ciò sarà, non per risolvere il tuo disagio interiore, quanto per
denunciare le storture del mondo che ti sta continuando a girare attorno. Comincerai a capire solo allora.
Per quanto mi riguarda, dopo aver
letto “L’isola dei naufraghi”, ho ottenuto con “Grotesque” la conferma che l’autrice
ama immergersi in storie fuori dai canoni, volendo trarre da queste, però, una
morale valida comunque, per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. Allo stesso ho
riconosciuto lo stile singolare che avevo descritto a suo tempo come un pennello
che ritorna a più passate sulla stessa traccia e l’uso della trama alla stregua
di un tavolo di laboratorio, per eseguire esperimenti a vivo sulla psiche umana. Un'ottima lettura.