venerdì 3 febbraio 2012

Melania Gaia Mazzucco, “Vita”.

Vita. Ma forse si dovrebbe dire, Vita e Diamante. Perché il libro racconta le vicende che accompagnano, soprattutto nella loro prima giovinezza, due ragazzini, che si chiamano, appunto, Vita e Diamante, nati a Tufo di Minturno, un paese che, per quanto sconosciuto, nel romanzo diviene quasi leggendario.
Tufo, non è, come pensavo inizialmente, il frutto della fantasia dell’autrice, ma esiste realmente, anche se è un punto infinitamente piccolo, incastonato fra i Monti Aurunci, Roccamonfina e il Golfo di Gaeta. La maggior parte del romanzo, però, quasi per uno scherzo del destino, si svolge altrove, in un paese infinitamente grande e infinitamente lontano, dove i due, insieme a decine di compaesani e migliaia di altri conterranei vanno a cercare fortuna.
E’ il 1903 quando tutto ha inizio e la terra che li ospita, pur essendo inospitale, è l’America. Vita e Diamante dimenticano presto chi sono e da dove provengono, perché quando sbarcano sono poco più che bambini. Quel che gli rimane non è altro che un ricordo sbiadito e mitizzato delle loro origini, che si alimenta con le notizie passate di bocca in bocca, provenienti dall’altra parte dell’Oceano e che, il più delle volte, vengono filtrate dalle voci dei giornali, che non fanno altro che glorificare l’America a discapito del vecchio continente.
Crescendo, Vita e Diamante si innamorano, ma il destino li tiene divisi. Il destino, però. Solo quello. Perché il loro amore è talmente grande da superare ogni cosa, perfino i decenni che li tengono lontani. Nel frattempo, emerge il loro istinto di sopravvivenza, mentre il mondo intero è impegnato a inventarsi nuove forme di economia (da quella domestica a quella nazionale), grazie anche alle nuove tecnologie, e a ricostruirsi, purtroppo, a causa delle guerre.
Con “Vita”, che si è giustamente meritato il premio Strega nel 2003, l’autrice ha dato la luce ad un’opera di certo non originale, ma di cui non ci si finisce mai di stancare. Una vera e propria enciclopedia della memoria degli italiani finiti a cercare fortuna in America all’inizio del ventesimo secolo. Un’opera che colpisce per la quantità di particolari, anche più piccoli e apparentemente insignificanti, oltreché di notizie vere, il più delle volte drammatiche, che hanno conosciuto gli italiani d’America e quelli che vi hanno fatto ritorno, prima di divenire quel che sono oggi.
Nella memoria delle poche persone che occupano la scena, rivive la memoria di un intero popolo, senza il filtro della coscienza dovuta agli eventi successivi della storia. In ciò sta la grandezza e il fascino di questo libro, che non giudica e non si schiera, ma racconta come eravamo, senza nemmeno lasciarsi illanguidire da una probabile, tangibile e pur inafferrabile chance che la storia ci ha voluto offrire.